La tranquillità è il prezzo (aka la fede nello yoga classico)
- Elia Landolfi
- 17 apr
- Tempo di lettura: 3 min
NOTA BENE, in alcuni di questi articoli potresti incontrare termini e riflessioni tecniche di tradizioni specifiche, ma non preoccuparti: sono consapevole delle difficoltà che si possono incontrare all'inizio, quindi cercherò di trattare una questione alla volta in modo che non siano necessarie conoscenze pregresse. Le informazioni tecniche non centrali per l'articolo in questione saranno inserite per completezza e in colore diverso.
Detto questo: nell'ultimo anno, grazie all'ispirazione e al supporto di Paolo Proietti (direttore didattico dell'ASD Yoga Citra Padova) ho iniziato ad approfondire gli "Yoga sutra" di Patanjali con il commento di Vyãsa, che tradizionalmente vengono considerati un'opera unica: il "Pātañjalayogaśāstra". La cosa interessante è che le spiegazioni che fornisce il commento rispetto ai concetti del testo principale sono spesso completamente diverse da qualsiasi interpretazione che potremmo dare noi, figli di un'altra cultura, al famoso e breve testo, anche traducendolo direttamente dal sanscrito.
L'ultima sorpresa, che mi ha fatto notare Paolo, riguarda il termine śraddha, che normalmente viene tradotto con "fede". Nel commento di Vyasa, questa "fede" protegge il praticante-ricercatore (lo yogin) come una madre nutrice e, assieme al desiderio di conoscenza, gli permette di sviluppare tutte le qualità necessarie a realizzare il suo scopo: la "liberazione" che si produce quando realizza la conoscenza discriminativa, ovvero quando si riscopre come parte e prodotto della natura (prakrti), diverso e separato dalla coscienza pura (purusha) che ne è testimone. In particolare, prima cresce la forza-coraggio che deriva dalla purezza del cuore (vīrya), che a sua volta fornisce stabilità alla memoria-consapevolezza (smrti), che matura fino a diventare lo stato meditativo (samãdhi, il fondamento dello yoga) in cui emerge l'intelligenza-saggezza intuitiva (prajña) che conduce verso la "liberazione finale" (a-samprajñata samãdhi-dharmamegha samãdhi-kaivalya).
Beh, cosa c'è di meglio di una "madre nutrice del praticante-ricercatore" per inaugurare il tanto atteso Blog?
Nel commento di Vyasa a YS 1.20 si legge: "fede (śraddha) significa tranquillità dell'attenzione" (traduzione dall'inglese di G. J. Larson), il che suggerisce un concetto abbastanza diverso dalla fede intesa in senso cristiano. Ad essere fondamentale per il praticante non è una credenza, ma uno stato. Uno stato a cui senza dubbio concorrono altri fattori, ma che preserva il proprio valore in sé stesso.
Questo, secondo me, suggerisce innanzitutto che lo yoga di cui hanno scritto Pātañjali e Vyãsa non è né una ginnastica per la schiena, né una tecnica di rilassamento o un metodo per gestire i problemi quotidiani, anzi: la ricerca yogica, ponendo le sue fondamenta nella tranquillità dell'attenzione, presuppone uno stato di salute psico-fisica non comune. Difficile immaginare un'attenzione tranquilla in una persona afflitta da dolori e/o turbamenti fisici, emotivi o mentali. O meglio, siccome i dolori e i turbamenti fanno parte della vita, mi viene da pensare che la tranquillità dell'attenzione dipenda dalla capacità individuale di accettare benevolmente la vita in tutte le sue sfumature (piacere e sofferenza, quiete e movimento, ricchezza e povertà), coerentemente con le proprie caratteristiche peculiari (dharma - se sono portato/mi da piacere lavorare con il corpo, lavorerò con il corpo; se sono portato/mi da piacere la devozione, mi dedicherò alla devozione; se sono portato/mi da piacere la politica, mi dedicherò alla politica; se sono portato/mi da piacere una vita semplice, vivrò nella semplicità...).
Di certo è più facile trovare la tranquillità in vacanza, ma se la ricerca yogica diventa un hobby per le occasioni speciali non si va lontano: śraddha (la tranquillità dell'attenzione/la fede nello yoga classico), infatti, va coltivata costantemente per avere degli effetti (come molte cose, d'altronde).
Insomma, se siamo interessati alla ricerca-yoga nei termini in cui ne parlano Pātañjali e Vyãsa, sembra che prima di tutto dovremmo darci da fare per creare le condizioni interne (emotive, mentali e fisiche) ed esterne (professionali, relazionali, ecc.) che ci permettano di coltivare un'attenzione tranquilla, rinunciando a ciò che ce lo impedisce: se mi "stressa" avere poco tempo per me, lavorerò meno e rinuncerò ad uno stipendio più alto; se mi "stressa" avere meno soldi, lavorerò di più e rinuncerò ad avere più tempo libero; se mi "stressa" una relazione, mi impegnerò a trasformarla o la lascerò andare. In questo senso la tranquillità è il "prezzo" della ricerca, nel senso dello yoga classico. Questo, probabilmente, vorrà dire fare i conti con le proprie priorità e i propri valori e prendersi tutta la responsabilità delle proprie scelte. Non ci sono risposte valide per tutti, ma non ci possono nemmeno essere scuse. Non è facile, per me, ma forse così si capisce meglio in che senso la fede, nello yoga classico (śraddha), possa condurre a sviluppare il "coraggio" (vīrya).


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